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le labbra di rubino, denti di perle, la bocca come l’anello di Salomone. I giardini del paradiso, come dice un poeta, potevano invidiarla a’ mortali, e la luna seguire le sue orme.

«Appena m’ebbe scorto, ordinò ad una schiava di venir a vedere chi fosse alla porta. La donna si avvicinò e disse: — Non vi vergognate, sceik, di penetrare sin qui? — Osservate,» le risposi, «osservate i miei capelli bianchi, e non conserverete più verun sospetto intorno alla mia visita. — V’ha cosa più incivile,» gridò la dama, «di fermarsi con tale impudenza alla porta d’un serraglio? — Perdonate,» le dissi, «e degnatevi d’ascoltare la mia giustificazione; io stava per morir di sete. — È un’altra cosa,» ripigliò ella, «e questa scusa mi basta!» Nello stesso tempo ordinò di portarmi da bere. Una schiava presentommi allora un sorbetto col muschio entro un vaso d’oro adorno di perle e diamanti, e mi diede in pari tempo una salvietta per asciugar la bocca. Io bevvi a lunghi sorsi, e finito ch’ebbi, la signora mi disse: — Andatevene, sceik. — Sono immerso in profonde riflessioni,» risposi. - E a che cosa dunque pensate? — Penso alla distruzione ed al mutamento, che sono i frutti del tempo. — Come vi son venute queste idee? — Pensando al padrone di questa casa. Un tempo apparteneva al mio amico il gioielliere figliuolo di Alì, ch’era in grande prosperità. Ha egli lasciato figliuoli? — Sì, una figlia chiamata Badur. — Siete forse voi? — Indovinaste,» rispose la signora sorridendo; «ma, sceik, allontanatevi invece di farmi inutili domande. — Beh veggo che siete di cattivo umore,» ripigliai io; «ma tuttavia, concedetemi la grazia di narrarmi la cagione del vostro dolore; forse ch’io possa trovarvi rimedio. — Sceik,» diss’ella, «non ricuso di soddisfare alla vostra domanda; ma devo prima sapere chi siete.