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bello come il sole; se non che lo splendore del suo colorito era appannato dal pallore della disperazione. Era Alisciar, e Smeraldina svenne quasi per la gioia. Dacchè erasi destato nella strada senza turbante, e che la vecchia ebbegli palesata la scomparsa dell’amante, lo sfortunato vivea costantemente in preda alla più crudele disperazione, sì che infermato, rimase a letto un anno intero, durante il quale la buona vecchia gli prodigò tutte le cure. Allorchè fu in convalescenza, si mise a percorrere il mondo in cerca della sua cara Smeraldina, e così giunse, nel giorno di festa generale, nella città in cui essa regnava. Come tutti gli stranieri che l’aveano preceduto, volle anch’egli gustare del piatto di riso col latte e la cannella, il cui aspetto era appetitoso, e lo si condusse pure davanti al re. Baciata la terra, ed interrogato del nome e del motivo che lo aveva condotto in quella città, rispose chiamarsi Alisciar ed essere colà venuto per cercarvi la sorgente della sua vita, la sua diletta Smeraldina, che la mala sorte aveagli rapita. Il re si fece recare la tavola di romla e la penna d’acciaio. — Diceste il vero,» sclamò, «ed il cielo vi renderà tra poco l’oggetto dell’amor vostro.» Allora, comandò di condurre il forastiero al bagno, quindi lo fece vestire d’un abito d’onore e trattare co’ massimi riguardi.

«Smeraldina aspettò la notte colla più viva impazienza, e giunto quel momento, fatto chiamare Alisciar, congedò i familiari, e lo fe’ sedere a cena con lei. Era il giovane così abbattuto dal dolore, che non aveva ancora fissati gli occhi sul re. — Quali sono gli ordini vostri, gran re?» chiese infine. — Tu mi piaci assai,» rispose quegli; «hai una vezzosa figura di mamelucco: dormi con me, e domani ti alzerai emiro. — Dio! Dio!» sclamò Alisciar, «non acconsentirò giammai, quand’anche dovessi vivere sino