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«Il primo giorno del terzo mese ebbe luogo la festa secondo il consueto. Si prescrisse nuovamente che ciascuno dovesse star allegro e mangiare ciò che si trovasse dinanzi, sotto pena di morte. Adunarono i grandi, le truppe si misero sotto le armi, ed il popolo si dispose intorno alle mense. Il re stava seduto sul trono, osservando attentamente tutto ciò che accadeva. D’improvviso presentossi all’ingresso dell’anfiteatro un uomo, il quale, tutto sorpreso, chiese alla prima donna che incontrò cosa significasse quella riunione: glielo disse la donna, ma dimenticò di aggiungere che non dovea mangiare se non de’ cibi postigli davanti. Sedette pertanto, e volle prendere un piatto che si trovava lontano. — Ferma!» gridarongli mille voci; «altrimenti t’impiccano!!» Quell’uomo, il quale non era del tutto senza macchia, credendo si volesse arrestarlo, si diede alla fuga a tutta corsa; ma il re comandò che, impadronitisi della sua persona, glie lo conducessero davanti. — Come ti chiami?» gli chiese. — Osmano,» rispose il forastiero; «son giardiniere, ed era venuto qui per esercitare la mia professione. — Orsù,» disse il re, «recatemi la tavola di romla e la penna d’acciaio, e tosto la verità apparirà chiara come la luce.» Cominciò Smeraldina i suoi calcoli, alzò il capo, e dopo alcuni istanti di silenzio, soggiunse: — Tu menti, miserabile! il tuo nome è Birvan il Curdo, e sei ladro di professione: confessa la verità, sciagurato, o ti faccio tagliar la testa.» Impallidì colui, ed ammutolito, batteva i denti pel terrore, e confessò in fine la verità. Impose il re di scorticarlo, gettarne a’ cani il cadavere ed inchiodarne la pelle, com'erasi fatto di quella del cristiano. Eseguita la sentenza, si misero di nuovo a tavola con ottimo appetito, ammirando la sapienza e giustizia reale.
«Il primo giorno del quarto mese, si fecero lo stessi