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quand’anco non fosse che un po’ di nero pane od anche di farina; non posso più movermi. — Orbene,» disse Alisciar, «attendete un momento.» Ed uscito, chiudendosi dietro la porta, tornò in breve con carne arrostita, pasticcerie, miele, frutta e pane. — Mio Dio!» sclamò il cristiano, vedendolo tornare, «quel che recate è bastante per saziare dieci persone, e nondimeno io sono qui solo, a meno che non vogliate farmi l’onore di mangiar con me. — Mangiate pur solo,» rispose Alisciar — Ma, signore,» replicava il cristiano, «non sapete dunque che gli antichi savi hanno detto che chi non mangia coll’ospite è un bastardo?» Alisciar, non volendo lasciar correre tale sospetto sulla sua nascita, si pose a mangiare col cristiano. Allora questi, preso un frutto, ne levò la pelle, lo divise, e destrissimamente ficcò in una delle due metà una grossa dose di nepente di Creta misto ad una porzione d’oppio sufficiente per addormentare un elefante.

«- Per la misericordia di Dio,» disse il cristiano, offrendo ad Alisciar quella metà, «accettate di mia mano questo frutto squisito.» Il giovane, non volendo rifiutarlo, lo prese; ma ne sperimentò sul momento i sinistri effetti, restando privo di sensi. Allora il cristiano, alzatosi senza far romore, ed uscito dalla casa dopo averne chiusa la porta, affrettossi ad andar ad annunziare la riuscita dell’astuzia al fratello. Era questi il vecchio Rascideddin, che esteriormente professava l’islamismo, ma in fondo del cuore era cristiano, ed aveva inventato quello strattagemma per impadronirsi di Smeraldina; laonde, presi subito con sè i suoi schiavi, si provvide di denaro, e montando su d’una mula, si recò alla casa di Alisciar, dove i servi presero la bella schiava, e minacciando di ucciderla se gridasse, la condussero a casa di Rascideddin. — Ah! miserabile,» le disse il per-