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rezzo di quelle piante, sembrava rivaleggiare col lusso e la magnificenza; erano coperte da un numero infinito di delicati cibi, destinati piuttosto a rianimare un voluttuoso languente, che a rifocillare un viaggiatore. M’accinsi tosto a saziare la fame e la sete che mi tormentavano. Dopo aver ristorate le mie forze esauste dalle fatiche d’un lungo viaggio, resi ancora grazie a Dio di tutte le sue bontà, e scelsi l’ombra d’un pioppo per gustare il riposo di cui aveva bisogno, e riflettere ponderatamente su tutto ciò che vedeva d’opposto alle idee che il dervis ed il mercante m’avevano voluto dare. Non riesciva a comprendere il loro errore, essendomi parsi persone troppo oneste per volermi ingannare; infine, siccome è facile lusingarsi, mi persuasi ch’io provava distinzioni non ancora da altri meritate.

«Era notte quando mi destai. Vidi allora comparire, attraverso l’oscurità delle piante, molte fiaccole la cui luce era più brillante di quella delle stelle; udii un rumore confuso nell’aere, e vidi gran numero di fanciulle, la cui beltà mi parve ammirabile. La loro modestia, aumentata da mille grazie naturali, avrebbe commosso i cuori più insensibili, ed il loro splendore superava quello degli stessi angeli; candido n’era il seno, e spandeva odor di gelsomino: le sopracciglia somigliavano ad archi tesi: i visi brillavano più della luna, i loro capelli svolazzavano trascuratamente sugli omeri, 1a cui bianchezza gareggiava con quella dell’avorio, e che gli angeli avrebbero invidiata e bramata. Ciascuna di quelle vezzose portava una face più bianca della neve, e questa luce serviva a meglio distinguere tante attrattive.

«In mezzo di esse vidi una donzella superbamente vestita, la cui beltà superava la pompa e la ricchezza dell’abbigliamento. I suoi occhi somigliavano a quelli d’un giovino cervo; aveva capelli neri come