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vado a pregare questa notte per te, ed a meditare su ciò che debbo fare per giovarti.» Sì dicendo, il buon eremita condusse il giovane viaggiatore in una camera vicina, invitandolo a riposarvi.

«Intanto la bella Vird-al-Ikmam, oppressa dal dolore nel suo esilio, rimaneva insensibile a tutte le distrazioni che le persone del suo seguito cercavano di procurarle. Percorreva tristamente i magnifici giardini del castello: i boschetti, popolati di mille augelli dagli svariati gorgheggi, non potevano rendere la calma all’anima sua. Il dolce gemito della tortorella, nè le flebili melodie dell’usignuolo piangente i suoi amori, non ne attiravano l’attenzione. Seduta su di erbose zolle, le ascoltava ore intiere, e ne’ malinconici loro canti credeva udire la voce del suo diletto. Tali erano i suoi piaceri; nè allontanavasi da quei luoghi se non quando gli schiavi venivano ad invitarla a rientrare in casa per sottrarsi alla frescura notturna.

«Ora torniamo al nostro viaggiatore. La fatica e lo assicurazioni confortanti del buon eremita gli procurarono un sonno profondo e tranquillo, onde non si destò che tardissimo. Dopo aver preso parte agli atti religiosi dell’ospite, fece con lui una colazione frugale, composta di pane, latte e frutti colti il giorno prima. Quindi il vecchio, mandato il protetto nella selva a cercarvi scorze di palme giovani, intrecciò, colle strisce flessibili di quelle, una barchetta, di cui gravò gli omeri al giovane viaggiatore. — Recati al lago,» gli disse, «e getta in acqua questa navicella, che diverrà abbastanza grande per contenerti; imbarcati, e, fedele credente, spera nella bontà celeste. Addio.» Ins-al-Vugiud prese congedo dall’eremita, dopo mille proteste di gratitudine, e fece quanto avevagli imposto. Giunto alla sponda del lago, vi slanciò il leggero schifo, il quale, con grande sua maraviglia, trasformossi sull’atto in una bella scialuppa guernita