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delle sue azioni, ed i poveri erano da lui meglio accolti dei ricchi. La conoscenza del passato, che rende di solito grandi i principi, formava l’oggetto principale del suo studio; talchè, non volendo ignorare alcuno dei memorabili avvenimenti che accadevano nei vari stati dell’Asia, aveva fatto costruire un caravanserraglio, che si poteva con ragione ammirare come un superbo palazzo, e colà riceveva gli stranieri. Kemserai invitavali alla propria mensa, e dava loro, per servirli, schiavi d’ambo i sessi, incaricati di prevenirne i minimi desiderii. Gli stranieri soggiornavano dunque nella sua capitale senz’altro disturbo fuor di quello d’intertenere il re delle proprie avventure o di quelle onde potessero aver cognizione.
«Di tal guisa il re passava tranquillo i suoi giorni, regnando felicemente in un mondo ove tutto è perituro. La fortuna, stanca infine di colmarlo di meritati favori, l’abbandonò.
«Il riposo dell’anima sua, la calma che le buone azioni spargevangli su tutta la persona, l’amabile ilarità ond’era sempre accompagnato, scomparvero: un’agitazione che nulla poteva calmare, una profonda inquietudine e continua preoccupazione di spirito successero all’umore più eguale e dolce; i suoi occhi perdettero l’usata vivacità, ed il pallore gli coprì il volto. In breve, apparve come un fiore che, bello la mane, fa l’ornamento d’un giardino, ma sotto l’intemperie dell’aria appassisce, e muore quasi nello stesso momento in cui ha cominciato a vivere. L’alterazione della di lui salute e quella del suo spirito facevano già temere a tutti i signori della corte che, malgrado la sua giovinezza, essi avrebbero in breve la disgrazia di perderlo e piangere sulla sua tomba, quando un’improvvisa fuga lo tolse di repente agli sguardi dei sudditi. I grandi del regno nulla trascurarono per informarsi della sua sorte, ma vedendo