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«sultana ben cinque volte mi fe’ fare colpevoli proposte. Ho ricusato, rispondendo che qualunque fosse in lei il desiderio d’ingannare il mio sovrano, io non poteva rendetemi suo complice, avendovi ella lasciato custode dell’onor suo e del suo regno. Non m’è d’uopo dirvi di più.»»

«Il latore del messaggio incontrò il sultano mentre non era più d’otto giorni di cammino lontano dalla città, e gli consegnò il foglio. Impallidì a quella lettura mio padre: i suoi occhi esternarono lo sdegno ed il dolore. Fatte tosto levare le tende venne a marce affrettate sino a due giornate dalla capitale, e quivi sostando, inviò due confidenti incaricati di condurci, mia madre e noi tre sorelle, a certa distanza dalla città per metterci a morte. Strapparonci que’ due uomini dal serraglio, e ci condussero in campagna; ma giunti al luogo dell’esecuzione fatale, mancò loro il cuore per compassione: ricordaronsi i benefizi fatti da mia madre ad essi ed alle loro famiglie, e non ebbero il coraggio di eseguire gli ordini del sultano, che allora ci palesarono. — Gran Dio!» sclamò mia madre; «tu conosci la mia innocenza. E quindi manifestò loro quanto era accaduto colla più scrupolosa fedeltà.

«I due ufficiali versarono lagrime di compassione sulle sventure della sultana, e cercarono di porgerle qualche conforto. Avendo intanto presi due cerbiatti, li uccisero, e tolte le nostre vesti, le intrisero col sangue di quegli animali, de’ quali arrostirono le carni per saziarci la fame. Ci volsero poscia i loro dolenti saluti, raccomandandoci alla protezione dell'Onnipotente. Per sei giorni continui errammo nel deserto senza scorgere abitazione umana, e vivendo dei frutti selvatici che ne riusciva trovare. Finalmente giungemmo ad un luogo verdeggiante e copioso di ogni sorta di legumi e frutti squisiti, e presso il quale