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per una partita di caccia che doveva durare più mesi, lasciando ai visir il governo de’ suoi stati. Poco tempo dopo, passeggiando la sultana sul terrazzo del palagio che confinava con quello del visir, l’immagine di nostra madre riflettevasi in uno specchio che l’infame ministro teneva in mano, cosìcchè, abbagliato da tante attrattive, concepì un reo desiderio, e risolse di nulla lasciar d’intentato onde appagarlo.

«Alla domane, egli osò mandare alla sultana, per mezzo della soprintendente del suo serraglio, una ricca acconciatura con gioielli del massimo valore, supplicandola di riceverlo nelle di lei stanze o d’accondiscendere a passare nella sua casa. Mia madre fece entrare quella donna nel proprio appartamento, e raccolse con bontà, credendola incaricata di qualche messaggio confidenziale concernente gli affari dell’impero, oppure di qualche lettera del consorte.

«La vecchia, dopo le riverenze d’uso, spiegò davanti agli occhi di mia madre il magnifico monile, e la sultana, avendolo ammirato, pensò naturalmente che qualche mercadante glie lo volesse vendere, e ne chiese il prezzo. La vecchia, persuasa, che la virtù di mia madre non potesse star salda contro un regalo di tanto valore, non temette di scoprirle la passione del visir. A tal notizia, mia madre, sdegnata dell’oltraggio fatto all’onor suo ed alla sua dignità, impugnò una scimitarra che le si trovava vicino, e raccolte tutte le forze, d’un sol colpo spiccò la testa della perfida intendente, ordinando quindi che il cadavere fosse gettato nelle fogne del palazzo.

«Il visir, non vedendo più tornare l’indegna messaggera, ne mandò un’altra alla domane, incaricata d’informarsi se la sultana avesse ricevuto il presento inviatole. Mia madre fece strangolare la sciagurata, ma nella speranza che il ministro fosse per cangiar