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Infatti, un’ora dopo il reo si trovava già alla presenza del gran Genio, il quale, vedendolo, gridò: — Spirito maledetto, perchè facesti l’infelicità di quest’uomo?
«— Potente sovrano,» rispose il demone, «l’amore ispiratomi dalla principessa è la sola cagione della mia colpa. Quel suo braccialetto racchiudeva un incantesimo che m’impediva di avvicinarmele, ed io, per distruggere tale ostacolo, mi servii di quest’uomo. Posseggo ora la mia diletta, ma la rispettai. — Restituisci all’istante il braccialetto,» riprese il capo dei geni, «affinchè costui possa riprendere la sua donna, o ti faccio mozzare il capo.» A quei detti, il reo genio, che discendeva dalla razza più reproba, arse di rabbia, ed audacemente sclamò: — No, non la restituirò giammai, e niuno fuor di me possederà la principessa!» Appena proferite tali parole, tentò spiccare il volo, ma non potè farlo.
«Il gran Genio impose a’ servi d’incatenarlo, e strappatogli poscia il braccialetto, gli fu tagliata la testa. Appena ebbi, quel prezioso amuleto nelle mani, tutti i geni disparvero, ed io, trovatomi adorno come prima dei ricchi abiti datimi dal preteso giovinetto, mi avviai verso la città. Giunto alle porte del castello, fui riconosciuto dalle guardie e dai cortigiani, i quali, trasportati di gioia, sclamarono: — Eccolo; è desso: ecco il nostro principe che avevamo perduto!» Quando m’ebbero presentati i loro ossequi, entrai nell’appartamento della principessa, la quale dormiva di profondo sonno, nell’atteggiamento stesso in cui l’aveva lasciata al momento di mia partenza. Tornai a cingerle il braccialetto, e pel subito effetto dell'incanto essa si destò mandando un grido di sorpresa e di gioia. Vivemmo poi perfettamente felici sino alla morte del sultano, il quale, non avendo figliuoli, mi dichiarò suo successore. Ecco l’origine della mia fortuna. —