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rava, comprai l’occorrente da cena e passammo allegramente la sera.
«La mattina dopo, il mio compagno m’indusse a cambiar dimora, prendendone una più civile, ed io, accaparratane una nel più bel quartiere della città, mi vi recai subito con lui. Mi diede dieci pezze d’oro per comprare tappeti e cuscini, ed al mio ritorno, gli trovai davanti una balla piena d’abiti superbi, de’ quali avendomi ingiunto di vestirmi, l’obbedii; — ne indossai uno, e trovai cento pezze d’oro in ciascuna tasca. Lieto di portare abiti sì ricchi, mi complimentò egli sul mio garbo, e volle quindi incaricarmi d’andar a portare un presente al sultano ed a chiedergli in matrimonio per me la sua figliuola. — Non temere,» mi disse; «tale domanda ti sarà immediatamente accordata. —
«M’avviai dunque verso la reggia, seguito da uno schiavo che il generoso mio amico aveami acquistato.
«Il palazzo del sultano era pieno d’una folla di grandi, d’ufficiali e di guardie, i quali, alla vista de’ pomposi miei abili, chiesero rispettosamente che cosa desiderassi. Risposi di voler parlare col sultano. Le guardie m’introdussero, ed io, fatte le riverenze d’uso, consegnai al principe il pacco ch’eragli destinato, dicendo: — Si degna vostra maestà accettare questo debole presente? Certo esso è indegno di lei, ma sta in relazione colla scarsità de’ miei mezzi.» Aperto l’involto, vi trovò un abbigliamento regale compiuto, di stupenda ricchezza. Colpito di maraviglia, il sultano sclamò: — Non ho veduto nulla di simile, nè ho mai possedute sì magnifiche vesti. Le accetto: ma che mi chiedi tu in compenso di si ricco donativo?— Possente principe, il mio più caro voto è quello d’imparentarmi con voi, sposando l’incomparabile vostra figliuola, quel prezioso gioiello dello scrigno della bellezza. —