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minenza delle nostre professioni, nelle quali ciascuno di noi è dotato d’abilità stupenda. — Quali sono le vostre professioni?» chiese il sultano. — Io sono,» rispose il primo, «un egregio lapidario. — Temo assai che tu non sii un egregio birbone,» mormorò fra sè il sultano. — Io,» disse il secondo, «sono genealogista di cavalli. — Ed io genealogista della schiatta umana,» sclamò l’ultimo. «Conosco al primo sguardo la condizione d’un uomo, e posso vantarmi d’essere il solo al mondo che possegga simile segreto.» Stupì il sultano, senza però prestar troppa fede alle pretese de’ tre viaggiatori. — Ma,» pensava, «se questi uomini dicono la verità, meritano protezione ed incoraggiamento. Voglio trattenerli presso di me sinchè mi si offra il destro di metterli alla prova. Se avranno effettivamente i talenti che annunziano, m’incarico della loro fortuna; ma se mi hanno ingannato, guai! li farò morire.» Il sultano fece quindi preparar loro una conveniente abitazione, ordinando di dare a ciascuno tre pani ed una zuppa al giorno; ma nel timore non gli fuggissero, ordinò ad alcune guardie d’invigilarne le persone.

«Poco tempo dopo, il sultano ricevette un dono di cose rare, fra le quali due pietre preziose, una specialmente notevole per la trasparenza e la bellezza dell’acqua. — Ecco,» disse fra sè, «una bella occasione di provare il mio lapidario.» Se lo fece dunque venire davanti, e presentatagli la più bella di quelle gemme, gli domandò cosa ne pensasse.

«Prese l’avventuriero la pietra, la girò gravemente in tutti i sensi, ed esaminatala con attenzione: — Sire,» disse, «esiste nel mezzo di questa pietra una paglia.» Sdegnato a tale risposta, il sultano sclamò: — Sei un impostore! questa pietra è senza difetto, e tu pretendi scemarne il valore! Meriti la morte.» E senz’altro esame, comandò gli fosse