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tua colossale di rame; vari tubi vi stavano attaccati) andando a metter capo in un immenso serbatoio di marmo: questa meraviglia era opera dei geni. L’eremita accese del fuoco, vi gettò alcuni profumi, e profferì parole inintelligibili al giovane. Appena finite le sue evocazioni, il cielo oscurossi, si scatenò una fiera tempesta, pallidi lampi squarciarono le nubi, ed il tuono rumoreggiò tremendamente per tutto il monte. Azem, atterrito al sommo, contemplava in silenzio quanto gli accadeva intorno. La tempesta però produceva sull’animo suo minor impressione dei gemiti e del fracasso spaventevole che facevansi intendere in mezzo al serbatoio, il quale apparve in breve coperto di onde spumeggianti. L’oragano finalmente acquetossi, i rumori cessarono, ed il vecchio, volgendosi ad Azem: — Esci da questo luogo,» disse; «e guarda quell’oceano che ti pareva sì difficile da varcare. —

«Azem tornò sulla vetta del monte, e diretti gli sguardi curiosi verso il mare, la sua sorpresa fu al colmo non iscorgendone più la minima traccia. Invano cercò alcuni segni di quel mare, la cui immensità lo aveva tanto colpito. — Continua, o figliuolo, a riporre la tua fiducia in Dio solo,» gli disse il saggio vecchio, «e prosegui l’oggetto delle tue ricerche.» A tali parole, l’eremita disparve agli sguardi del giovane. Questi continuò la sua strada, e giunse finalmente alle isole di Waak al Waak verso il tramonto. Quel paese gli parve incantevole: magnifici ed abbondanti pascoli, fitte ombre se gli offrivano alla vista; camminò lunga pezza sotto ameni boschetti, il cui silenzio non era turbato che dai melodiosi gorgheggi degli uccelli. In quella vide avanzarsi una vecchia verso di lui. Sorpresa all’aspetto d’un giovane, gli domandò cosa volesse e da qual parte venisse. — Abbiate fiducia in me,»