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atterrare, nulla risparmiando per renderla la più magnifica dei contorni. Vi si recava ogni giorno per accelerare colla sua presenza il gran numero d’operai che vi mise al lavoro; ed appena v’ebbe un appartamento finito, atto a riceverlo, vi andò a passare vari giorni di seguito, per quanto glielo permettevano le funzioni ed i doveri della propria carica. Per la sua assiduità, la casa fu infine terminata, ed intanto che la mobigliavano, con egual sollecitudine, delle suppellettili più ricche e corrispondenti alla magnificenza dell’edificio, fece per mano al giardino, sopra il disegno da lui medesimo ideato, ed a quel modo che usavasi praticare fra i grandi signori di Persia. Vi aggiunse un parco di vasta estensione, che fece cingere di alte mura, e riempire d’ogni sorta di fiere, affinchè i figliuoli vi potessero, quando lor piacesse, prendere il diletto della caccia.
«Allorchè la casa di campagna fu finita intieramente ed in istato d’essere abitata, l’intendente andò a gettarsi a’ piedi del sultano, e dimostrandogli da quanto tempo trovavasi al suo servizio e le infermità della vecchiaia che lo tormentavano, lo supplicò di voler aggradire la dimissione dalla propria carica ch’egli faceva nelle mani di sua maestà. Il sultano gli accordò col maggior piacere tal grazia, essendo contento de’ suoi servigi, tanto sotto il regno del sultano suo padre come dopo ch’era egli medesimo salito al trono, e nel concedergliela, gli domandò cosa potesse fare per ricompensarlo.»
— Ah! che abbominevoli sorelle,» sclamò Dinarzade, quando la sultana ebbe cessato di parlare. «L’invidia può mai ella spingere due donne a commettere tali delitti? M’interesso assai alla sorte di que’ tre amabili ragazzi, e non dubito che il sultano, nostro signore e padrone, non desideri ardentemente, al par di me, di conoscere la continuazione della loro storia.»