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gito in Mervat, egli spedi tosto un grosso corpo di cavalleria per bloccare strettamente quella fortezza, aspettando di assediarla poi in tutte le forme. Se avesse potuto allontanarsi dalla capitale ove bisognava consolidare il proprio potere, non sarebbesi fidato d’alcuno per un assedio sì importante; ma credè poterlo affidare a Togrul, cui fece partire pochi giorni dopo alla testa delle migliori truppe e coi più valenti ufficiali.

«Il temerario giovane giurò di riprendere il fuggitivo, e cominciò l’assedio in un modo da far credere che non sarebbe molto lungo. In fatti, malgrado la vigilanza di Morad ed il coraggio della guarnigione, animata dal suo esempio, e dalla presenza del sultano, la piazza fu attaccata con tanto ardore e successo, che il vigesimoquinto giorno tutto fu pronto per dare l’assalto. In quel dì, di buon mattino, cinquanta elefanti, disposti di fronte in ordine di battaglia, e carichi di torri, si avanzarono lentamente fin sull’orlo del fossato, e sfilando a destra ed a sinistra, smascherarono l’oste ribelle, di cui avevano nascosti i movimenti. Componevasi dessa di trentamila uomini, e formava una lunga colonna divisa in tre corpi, che, concatenandosi fra loro e sostenendosi a vicenda, marciavano con ordine e risoluzione.

«Gli assediati, ridotti a poche centinaia di combattenti, videro dal disopra della breccia quell’apparecchio formidabile con cupa intrepidezza, senza spavento, nè speranza. — Moriamo,» disse il sultano allo scheik, «cediamo alla mia sventura, che mi toglie persino l’armi segrete che stava preparando. Nel giunger qui, io spedii a Damasco un ufficiale della guarnigione, incaricato di lettere ed istruzioni per alcuni onesti emiri che il torrente della rivoluzione ha certamente trascinato loro malgrado. Ne spedii un altro al sultano di Gerusalemme, per invitarlo a