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i Guebri. Il visir era lieto di parer ricompensare il merito, mentre in realtà allontanava da Bagdad un uomo che il califfo avrebbe potuto avvicinare alla propria persona, se caso mai ne avesse udito parlare.

«Dgerberi fece prodigi di valore nelle sue campagne contro i Guebri; ma fidando troppo nelle proprie forze, fu fatto prigioniero. Mentre i suoi nemici deliberavano sul genere di morte da fargli subire, per vendicarsi dei mali per lui sofferti, egli, dopo aver letto il centoquindicesimo articolo del Corano, infranse le catene, strangolò il carceriere che voleva opporsi alla sua fuga, e nel timore di ricadere nelle mani dei nemici, inoltrossi nei deserti, dove visse assai tempo di frutta e radici; infine, si trovò in una foresta sulla riva del mare, e salì su d’un albero per dormire in sicurezza e guarentirsi dalle bestie feroci.

«Calata la notte, vide uscir dal mare un toro fiero, che mandava muggiti spaventevoli, e che accostossi all’albero sul quale era salito. Osservò che quell’animale lasciossi cadere di bocca una pietra che illuminava la foresta, e servivagli a scegliere le erbe che convenivangli di più, come lo zafferano ed i giacinti.

«Dgerberi, educato in mezzo alle gemme, di cui suo padre aveva fatto grandissimo commercio, non dubitò quello non fosse un vero carbonchio, pietra preziosa e rara di cui aveva sentito spesso parlare, senza averne mai veduto. Colpito dallo splendore e dalla grossezza di questa, quando si riebbe dallo spavento incussogli dal toro, si occupò tosto dei mezzi d’insignorirsi di tanta meraviglia.

«Sorta l’aurora, il toro nero riprese la pietra, e rientrò nel mare. Il nostro avventuriere scese dall’albero, fece la sua preghiera, colse frutti, ne mangiò, e recossi quindi sul lido, ove raccolta un po’ di terra, ebbe cura di portarla sull’albero, sul quale aveva passata la notte. Il toro nero venne come il primo