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glielo davanti. L’ufficiale eseguì esattamente gli ordini di Dgerberi.
«Quando il muezin fu in sua presenza, gli chiese scusa di averlo fatto maltrattare, e volle dargli in dono dieci zecchini per consolarlo; poi fece uscire ognuno, ed ingiunse al muezin di dire a tutti quelli che gli domandassero il motivo del suo arresto, di essere stato preso per un altro; gli raccomandò inoltre istantemente di chiamare alla preghiera durante la notte, scendendo tosto dal minareto per rispondere a quelli che vorrebbero sapere perchè avesse chiamato in un’ora sì indebita, coll’ordine di notar bene colui che pel primo gli volgesse tale domanda.
«Il muezin si ritirò contentissimo, e fece quanto eragli stato imposto. Aveva appena chiamato alla preghiera, che un giovine accorse a domandargli perchè fosse stato arrestato il giorno prima. Il muezin rispose semplicemente che l’avevano preso per un altro.
«Quando si rese conto a Dgerberi dell’accaduto, mandò a prendere il giovane che aveva dimostrata tanta curiosità, e fecegli dare una sì violenta bastonata, che confessò, coi più piccoli dettagli, in qual modo avesse assassinato il misero figlio della vedova. Aggiunse che il timore di essere scoperto rendendolo attento a tutto ciò che accadeva di straordinario, avevalo indotto a venir ad informarsi perchè si annunciasse la preghiera ad ora sì tarda, sospettando di tutto dopo il commesso delitto.
«Dgerberi, secondo la legge, abbandonò la sorte dell’omicida alla madre dell’ucciso, ed essa ne chiese la morte, che le venne accordata.
«Il visir, colpito dello spirito e del giudizio di Dgerberi, volle conoscerne la storia, e sentitala, quel ministro gli rimproverò d’aver abbracciata una professione sì vile come quella del facchino, e lo determinò ad entrare nelle truppe che il califfo mandava contro