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«Seifulmulok, in un’isola così pericolosa, oppresso di tristi pensieri, desolato di non poter ritrovare l’oggetto delle sue ricerche, dolente della perdita dell’amico Said, era in procinto d’abbandonarsi alla disperazione. Un giorno scorse un uccello grande come un camello, la cui testa era nera, le gambe verdi, e che pasceva come i quadrupedi. Deciso di non più avventurarsi in mare, attaccossi pian piano ad un piede dell’uccello, e chiuse gli occhi pel timore che l’altezza del volo non gli facesse girar la testa.
«L’uccello infatti spiegò i vanni, sollevando seco il principe. Egli ha sempre ignorato la strada che fece, ma gli accadde appunto ciò che temeva, perchè, aprendo gli occhi, fosse fatica, o mancanza di respiro, la debolezza gli fe’ allentar le mani, la corda che tenevalo legato si ruppe, ed è certo che sarebbe perito, se l’uccello, vedutolo, non fosse calato con maggior rapidità ch’egli non credesse, ricevendolo sul dorso senza fargli alcun male. Quell’uccello aveva interesse di conservare il giovane, giacchè lo portò su d’un albero immenso, contenente il suo nido, e diedelo in cibo a’ suoi nati, che già si preparavano a divorarlo.
«Era finita pel principe, se non fosse sopraggiunto un enorme serpente, il quale rovesciò il nido, divorando tutti i piccini. Seifulmulok, benchè stordito dalla caduta, non tralasciò d’alzarsi troppo felice d’essere sfuggito a certa morte. Dopo aver camminato alcun tempo, scorse un alto monte, il cui piede era bagnato dal mare, e sulla cui vetta ergevasi un palazzo brillante per magnificenza. Con infinito stento s’arrampicò su pel monte, e trovossi davanti la porta del castello. Fece grandi sforzi per distaccare una chiave che gli sembrava quella del palazzo, e che pure pendeva soltanto da un semplice chiodo. Finalmente toccò coll’anello il talismano senza accorgersene, e nulla gl’impedì più di prendere la chiave.