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che mi dimostra per quanto feci per lui? Aimè lasso! la mia sorte è sì crudele, che non mi permette di disubbidire a codesto comando, e non mi resta altro partito da prendere! Andrò dunque ad abitare le montagne, e custodire gli animali: è mille volte meglio vivere con essi che cogli uomini.» Presa la greggia, uscì dalla città, la fece pascere, e si nutrì del latte che gli forniva. Le malattie e le tigri gli rapirono tutto l’armento nel corso dell’anno; tornò dunque al palazzo senza una sola pecora, ed il re gli fece dare un altro gregge. L’infelice pastore non fu più fortunato in quel secondo anno, e si presentò senza bestie al palazzo del re, il quale, senza volerlo vedere, lo trattò come la prima volta. Quel terzo anno fu felice per Naz-Rayyar; il suo armento triplicò, ed egli recossi a far consapevole il re della buona riuscita. Il principe, comprendendo allora che l’amico non era più bersaglio ai colpi dell’avversa fortuna, e che questa era finalmente stanca di perseguitarlo, ordinò di accompagnarlo al bagno, vestirlo sfarzosamente, e ricondurlo al palazzo. I comandi del re furono eseguiti, e quando seppe che stava per giungere, gli andò incontro, lo abbracciò, lo condusse in un palazzo fatto da lui preparare, e gli regalò cento pezzo di stoffe, dieci casse piene d’oro e cinquanta cavalli arabi. Oltre a quanto poteva essergli necessario, gli mandò poi venti schiavi e quindici fanciulle chinesi di rara bellezza.

«Naz-Rayyar volle attestare la propria riconoscenza al re, il quale gli disse: — Qual cosa io non vi debbo? frattanto, per distruggere l’impressione che deve avervi fatta la maniera colla quale vi ho ricevuto, è giusto che vi dia una spiegazione. Quando seppi il vostro arrivo o lo stato in cui eravate ridotto, compresi che la fortuna vi perseguitava; io volli che fosse spirato il termine de’ vostri guai per