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«Il re domandò un giorno a’cortigiani qual fosse la vivanda che loro sembrasse più squisita; uno di quelli lo assicurò che gli uccelletti cotti nell’olio di mandorle dolci, con zuccaro, pepe, chiovi di garofani, pimento e zafferano, erano la miglior cosa che si potesse mangiare. Il re, sorpreso da tal miscuglio, parve dubitare della sua bontà. Il cortigiano corse a casa a fare l’intingolo da lui tanto vantato, e lo portò al monarca, il quale, trovatolo assai buono, nè mandò una porzione alla bella Aziz; questa, dal canto suo, lo divise con Ahmenttevail, codest’ultimo pregò un amico di venir a mangiarne con lui. Ma fu ben sorpreso di trovare nel corpo d’uno di quegli uccelletti un diamante di rara bellezza e del più vivo splendore.

«Quel falso amico, invidioso della fortuna altrui, sospettò della verità, e corse a narrare al re l’accaduto, giudicando ch’egli solo vi poteva essere interessato, e che riconoscerebbe la schiava che lo tradiva.

«Il rapporto fece l’effetto preveduto da quel malvagio, ed il re ordinò che gli si conducesse Ahmenttevail. Giunto dinanzi al trono, vide la bella Aziz in piedi ed immersa in profondo dolore. Il re, dopo aver fatto uscire ognuno, si volse alla schiava, e le disse: — Tu sei ben ingrata! Qual ragione ti spinse a tradirmi? E che? i riguardi ch’io ebbi per te, i favori che ti accordai, ed i benefizi che non cessai dal prodigarti, non hanno potuto toccare il tuo cuore? Come non hai almeno temuto il mio sdegno?

«— Principe,» rispose la bella Aziz, «due cose mi fecero mancare al mio dovere: il destino voleva così, e l’amore s’impossessò del mio cuore. In questo stato, lo confesso, dimenticai i vostri benefizi, nè ho temuto il vostro corruccio: un cuore pieno d’amore può egli conoscere il timore od il periglio? Io son rea, punitemi, lo merito già da tempo, e sono preparata agli effetti della vostra vendetta. —