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NOTTE DXXX

— Il califfo Aaron Alraschild fu vivamente commosso di quell’avventura, e promise a sè stesso di fare un atto di giustizia, rendendo al giovane l’unico bene che poteva fomare la sua felicità. Gli dimostrò l’interesse inspiratogli dal suo racconto e chiese il permesso di ritirarsi coi compagni. Il giovine non volle lasciarli partire senza che avessero accettato qualche dono, che doveva, a suo dire, rammentar loro le di lui disgrazie e la sera che avevano passato insieme. Accettatili, e preso congedo, rientrarono segretamente nel palazzo. Prima di ritirarsi nel proprio appartamento, il califfo diè ordine a Giafar di condurgli il giovine appena sorgesse l’alba,

«Il visir, sul far del giorno, recossi da Alì, e lo prevenne che Aaron desiderava parlargli. Il giovine, udendo pronunciare il nome del califfo, fece l’elogio delle sue virtù, dimostrando la gioia che sentiva di dover comparire, alla di lui presenza, e partì subito con Giafar, che lo introdusse nell’appartamento, dove Aaron lo aspettava. Ei riconobbe nel califfo il mercante travestito della sera precedente, ma non ne parve menomamente sconcertato; si prosternò col capo a terra, e fece un bel complimento che terminava con questi versi:

«-«La vostra corte è un tempio (1) che si visita

  1. Qui si tratta della kaaba o casa quadrata della Mecca, ove tutti i maomettani debbono andare almeno una volta in vita loro in pellegrinaggio.