Pagina:Le mille ed una notti, 1852, V-VI.djvu/693


283


«— Bandite dal vostro animo una simile idea,» sclamò vivamente Giafar, interrompendolo; «poveri mercanti come noi non meritano di essere onorati di tal sospetto.

«— Se il mio sospetto è ben fondato,» riprese il giovine, «questo incontro è ciò ch’io desiderava di più, e spero che metterà fine alle mie pene. Checchè ne sia,» continuò egli sorridendo, «comincerò col dirvi ch’io non sono il sovrano Commendatore dei credenti, e non mi chiamai così, non vestendomi tutte le sere in questa foggia, se non per distrarmi o calmar i tormenti che mi fa provare una persona più bella degli astri. Quantunque da lei diviso, i suoi begli occhi neri, le sue rosee guance, gli archi delle sue sopracciglia mi sono sempro presenti alla mente. Ma prima di parlarvi di lei, debbo far conoscere chi io sia.

«Io mi chiamo Alì, figlio di Mohammed il gioielliere. Mio padre, uno dei più opulenti mercanti di Bagdad, alla sua morte mi lasciò padrone d’immense dovizie, consistenti in oro ed argento, in gemme, rubini, smeraldi e diamanti d’ogni qualità; possedeva vasti giardini e terre che fruttavano grosse rendite, ed aveva al mio servizio gran numero di schiavi d’ambo i sessi.

«Un giorno che mi trovava nel mio magazzino, intento co’ miei commessi a regolare i conti, una giovine dama, montata su d’una mula ed accompagnata da tre bellissime schiave, si fermò davanti alla mia porta, discese, entrò nel magazzino, e sedette. — Non siete voi,» mi chiese, «il signor Alì, figlio di Mohammed il gioielliere?

«— Ai vostri comandi, signora,» risposi; «in che cosa posso servirvi?

«— Avreste una collana di diamanti che mi convenisse?