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«Il vecchio, trascinato dalla cupidigia del guadagno, promise a coloro, che prendeva per mercadanti stranieri, di trovarsi l’indomani al medesimo luogo all’ora convenuta, e li lasciò ringraziandoli con ardore.

«Il califfo, Giafar e Mesrur, tornati al palazzo, vi entrarono segretamente come n’erano usciti, e spogliatisi dell’abito di commercianti, ripresero le solite vesti. La domane, radunatosi il divano, i visiri, gli emiri, i governatori delle province e tutti i grandi dell’impero vennero ad ossequiare, come d’ordinario, il monarca, il quale prolungò la seduta fino a sera.

«Quando ognuno fu partito, Aaron disse a Giafar: — Andiamo, visir, sono impaziente di vedere l’altro califfo. — Mesrur ed io,» rispose l’altro ridendo, «siamo pronti ad andar a presentare i nostri omaggi a sua maestà.» Travestitisi allora tutti e tre da mercadanti, come la sera precedente, uscirono per una porticella segreta che metteva sul Tigri, ed accostatisi lietamente alla riva, trovarono il vecchio, il quale attendevali nella sua barca.

«Appena vi furono entrati, scorsero da lontano la gondola del falso califfo che si avanzava. Avendola considerata con attenzione, videro, quando fu loro vicina, ch’era montata da duecento schiavi diversi da quelli della sera precedente, ed udirono l’araldo pubblicare ad alta voce la solita proibizione. — Per Dio!» disse il califfo, «non avrei mai potuto credere una simil cosa, se non ne fossi stato io stesso testimonio, e se non avessi inteso questa proclamazione colle mie orecchie. Vecchio,» soggiunsi egli, volgendosi al padrone della barca, «prendi queste dieci pezze d’oro, e conducimi dietro ad essi; non hai nulla a temere, perchè il bagliore delle fiaccole impedirà loro di distinguerci ad una certa distanza, e noi potremo agevolmente osservarli senza essere veduti.—