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passava in quel momento a poca distanza dal luogo ov’essi trovavansi, Aaron mirò, con maggior attenzione il giovane seduto sull’aureo trono. L’avvenenza de’ suoi lineamenti, l’aspetto ed il portamento, una certa dignità sparsa su tutta la di lui persona, il corteggio ond’era circondato, lo incantarono al punto, che non potè trattenersi dal dire a Giafar:

«— In verità, visir, parmi vedere la pompa e magnificenza che mi circonda in mezzo alla mia corte; non ci manca assolutamente nulla. Non direbbesi colui essere tu stesso in persona?» continuò, accennando il personaggio rimpetto al giovane. «Non si scambierebbe quello schiavo per Mesrur, e que’ cortigiani non somigliano esattamente a quelli che mi circondano? Lo confesso con franchezza; ciò che vedo m’imbarazza, ed ignoro se sogno o sia desto.

«— Sono nella medesima perplessità,» rispose il visir, «e le mie idee si confondono in guisa, che se non mi trovassi appo vostra maestà, sarei tentato di dubitare in questo momento se sia il vero Giafar. —

«La barca essendosi allontanata e scomparsa in breve a’ loro occhi, il vecchio, rimasto mutolo e tremante mentr’ella passava, sclamò, ripigliando il remo: — Dio sia lodato! per fortuna nessuno ci ha scorti, ed ora siamo fuor di pericolo.

«— Veglio,» ripigliò Aaron, «non dicesti tu che il califfo viene tutte le sere à pigliar il fresco sul Tigri? — Sì, signore,» rispose il vecchio, «e da un anno non mancò mai di comparire puntualmente. — Or bene, galantuomo,» continuò il falso mercante, «se vuoi farne il favore di aspettarci qui domani, a quest’ora, ti daremo cinque pezze d’oro pel tuo incomodo. Siccome siamo stranieri in codesto paese, non ne dispiacerebbe godere dei piaceri e sollazzi ch’ei potrà procurarci, e soprattutto saremmo lieti di poter divertirci sul canale. —