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«In quel momento la mia sposa si destò, e scorgendo la porta del gabinetto aperta ed il gallo steso senza vita ai miei piedi: — Gran Dio!» sclamò; «eccomi dunque la vittima di quel perfido genio!» Appena ebbe pronunciate queste parole, che il genio ribelle, ch’essa sembrava temere, comparve d’improvviso, e rapilla sotto i miei occhi.
«Le grida della mia sposa e le mie risvegliarono lo sceriffo, il quale, entrato nella camera, indovinò facilmente il soggetto del mio spavento, non vedendo più sua figlia, e scorgendo la porta del gabinetto aperta.
«— Sciagurato Abu Mohammed,» mi disse, strappandosi i capelli, «aimè! che cosa mai facesti? È questa la ricompensa che destinavate a mia figlia ed a me, per le gentilezze che vi abbiamo usato? Io stesso aveva composto questo talismano, ponendolo in quel gabinetto, onde impedire a quel perfido genio di eseguire i suoi tristi progetti su mia figlia: sono sei anni ch’egli tenta d’impadronirsi di lei; ma ora non v’ha più speme, non ho più figlia..... non ho più alcuna consolazione al mondo... Andate, uscite subito di qui, m’è impossibile di soffrire più a lungo la vostra vista.
«Io mi ritirai a casa, profondamente afflitto d’essere stato lo strumento della perdita d’una persona che mi era divenuta sì cara, benchè l’avessi veduta appena pochi istanti. Cercai dappertutto la scimia per raccontarle la mia sventura, ma tutte le mie indagini furono inutili. Riconobbi allora essere stata ella stessa che mi aveva rapita la sposa, dopo avermi indotto, colle sue perfide insinuazioni, ad infrangere il talismano che metteva ostacolo all’esecuzione dei suoi iniqui disegni. Furibondo d’essere la vittima di quel genio ribelle, lacerai le vesti, mi percossi il viso, e risolsi di non restar più in un paese dove aveva perduto quanto aveva di più caro al mondo.