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l’estrema indigenza. Quella povera donna era costretta di fare la serva al vicinato per sussistere, e malgrado l’inopia in cui si trovava, aveva la bontà di portarmi da bere e mangiare, mentr’io non mi vergognava di restar sdraiato tutto il giorno.

«Mia madre venne un dì a trovarmi, con in mano cinque monete d’argento, frutto de’ suoi risparmi, e mi disse:

«— Figliuol mio, ho saputo testè che lo scheik Abul Mozaffer sta per partire alla volta della China. È un uomo pieno di carità pei poveri, e notissimo per la probità sua; fa uno sforzo su te stesso, figliuolo, alzati, vieni meco a portargli queste cinque monete d’argento, e pregarlo di acquistarti, in quel paese della China, onde si narrano tante meraviglie, qualche cosa che possa tornarti utile. Se non vuoi alzarti e venire con me, ti giuro che non ti rivedrò più, e ti lascerò morire di fame. —

«Ben m’avvidi, da tal discorso, che mia madre era indignata della mia scioperatezza, e temendo l’effetto delle sue minacce, stimai dover fare uno sforzo per trarmi dall’indolenza in cui viveva: io non credo esistesse allora sulla terra un animale più pigro di me; dissi dunque alla madre: — Or bene, aiutatemi ad alzarmi.» Mentre mi rendeva tal servizio, io gemeva e struggevami in lagrime, a cagione della fatica che mi toccava fare.

«La pregai quindi a portarmi le scarpe, ed essa ebbe la compiacenza di mettermeli ella medesima e prendermi sotto le ascelle per aiutar ad alzarmi; non cessò poi dallo spingermi per farmi camminare, e mi tirò per la manica dell’abito, finchè non fummo giunti sul lido del mare, ove trovammo lo scheik.

«Lo salutai, e gli chiesi il più civilmente che potei s’egli fosse il noto Abul Mozaffer, perchè confesserò, a mio disdoro, che non conosceva di vista quell’ottimo