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NOTTE DXV

— La principessa non tardò a comparire: Alaeddin, abbagliato dalla sua bellezza, sospirò più volte, credendo vedere la luna, in tutto il suo splendore, uscire dal grembo delle nubi. Dopo averla lungamente considerata, diresse gli sguardi su d’una donna che l’accompagnava, ed udì la principessa dirle: — Ebbene, mia cara Zobeide, cominciate ad avvezzarvi a vivere con me?» Lo schiavo, udendo pronunciare il nome di Zobeide, guardò con maggior attenzione la giovane dama; ma qual fu la sua sorpresa, riconoscendo la sposa, la sua cara Zobeide, che credeva morta da sì lunghi anni!

«La principessa prese allora una chitarra, e, presentandola a Zobeide, la pregò di cantare accompagnandosi con quell’istrumento. — Ciò m’è impossibile, signora,» rispose colei, «se prima non abbiate adempiuto alle promesse che mi faceste già da tanto tempo. — Che vi ho adunque promesso?» rispose la principessa. — Voi mi prometteste, signora,» riprese Zobeide, «di riunirmi al mio sposo, al mio fedele Alaeddin Abulschamat. — Cessate dall’affliggervi, o Zobeide,» disse la principessa, «ed abbandonatevi alla gioia: l’istante che deve riunirvi al vostro diletto non è forse tanto lontano come pensate. Cantateci adunque un’arietta vivace ed allegra, per celebrare questa felice riunione. — Ov’è?» ehiese vivamente Zobeide. — In quell’angolo,» rispose sotto