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— Bravo giovane,» gli disse, «io ti devo la vita; domandami ciò che vuoi.
«— Sovrano Commendatore dei credenti,» rispose Aslan, inchinandosi rispettosamente, «vi scongiuro di vendicare l’assassinio di mio padre. — Ma tuo padre, eccolo là,» riprese il principe, mostrando l’emiro Kaled, «e grazie a Dio, sta bene.
«— Voi siete in errore, sire,» rispose Aslan; «l’emiro Kaled non è se non mio padre adottivo: io sono il figlio dello sventurato Alaeddin Abulschamat. — Il figlio d’un traditore!» sclamò vivamente Aaron Alraschild.
«— Mio padre,» rispose il giovanetto, «non fu mai un traditore, ma il più fedele e divoto dei vostri servi.— Non mi ha forse rubato il mantello ed i più preziosi gioielli?
«— Sovrano Commendatore dei credenti,» disse Aslan con fierezza, «mio padre non fu mai un ladro. Supplico vostra maestà di dirmi se il suo candelliere d’oro, fregiato di gemme, si è trovato tra gli oggetti che gli furono portati. — Io non ho mai potuto trovarlo,» rispose il califfo, sorpreso di quella domanda.
«— Ebbene, sire,» continuò Aslan, «io l’ho veduto in mano di Ahmed Comacom. Glie lo cercai, ma ei non volle darmelo, dicendo che quel candelliere aveva già costata la vita d’un uomo. —
«Aslan allora narrò la passione di Abdalum Bezaza, figlio dell’emiro Kaled, per la giovine schiava Gelsomino, e la malattia ch’erane stata la conseguenza; in qual modo Comacom fosse uscito di prigione, e come avesse rubato il mantello reale, il candelliere d’oro e gli altri gioielli. - Sire,» aggiunse, terminando il racconto, «vi scongiuro ancora una volta, per tutto ciò che v’ha di più sacro, di vendicarmi dell’assassino di mio padre. —