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lui, e condurlo seco. L’emiro, il quale amava il giovine Aslan come se fosse realmente suo figlio, acconsentì volentieri alla di lui domanda, ed amendue si recarono in una pianura fuor della città, dove il monarca aveva fatto innalzare tende e padiglioni magnifici; tutta la corte vi si trovava riunita, e l’esercito era disposto in ordine di battaglia.

«Durante la rivista, Aslan si tenne sempre vicino all’emiro Kaled. Dopo alcune evoluzioni militari, si volle dare al principe lo spettacolo del giuoco del maglio: si portarono le palle, ed i magli, e vari cavalieri si misero a far prova di destrezza, ribattendosi reciprocamente le palle.

«Tra questi cavalieri, si trovava un uomo mandato espressamente dai nemici del califfo per ucciderlo: questi prese una palla, e la diresse con tutta la forza contro la faccia del principe; Aslan, attento a tutto ciò che accadevagli intorno, stornò il colpo, e ribattè la palla con tal vigore contro chi l’aveva lanciata, che lo rovesciò da cavallo.

«Il califfo si accorse del pericolo incorso, e disse ad alta voce: — Benedetto colui ai quale deggio la vita!» Il giuoco cessò subito; tutti gli ufficiali scesero da cavallo, e quando furono portati i sedili, Aaron ordinò di far comparire il temerario, il quale aveva osato dirigere la palla contro di lui.

«— Cavaliere,» gli disse, «chi ti ha spinto a commettere un simile attentato? sei tu amico o nemico?

«— Nemico,» rispose fieramente il cavaliere, «ed io voleva ucciderti.

«— Per qual ragione?» domandò il prìncipe; «non sei dunque un vero musulmano?

«— Non già musulmano come tu intendi,» rispose l’altro, «ma mi glorio d’essere settatore di Alì.

«A tali parole, il califfo, sdegnato, ordinò che fosse subito appiccato. Volgendosi poscia verso Aslan: