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zino e sentendo aumentare l’amore concepito per lui, disse alla madre: — Quando vostro figlio sarà più grande, e vi domanderà chi sia suo padre, ditegli che è l’emiro Kaled, wali di Bagdad. —
«Gelsomina, lieta a tai detti, allevò il figlio colla massima cura. Quand’ebbe sette anni, il wali lo fece circoncidere, e gli diede i più dotti precettori, i quali gareggiarono nello sviluppare la sua intelligenza, od istruirlo in una maniera convenevole al figlio d’uno dei primi emiri della corte. Il wali si riservò la cura d’insegnargli in persona il modo di stare a cavallo ed il maneggio delle armi, e tutte le volte che faceva esercitare nelle evoluzioni i suoi soldati, lo conduceva con sè, formandolo così a tutti gli esercizi militari.
«All’età di diciotto anni, il giovine Aslan era un perfetto cavaliere. I principali signori della corte, riguardandolo come il figlio dell’emiro Kaled, e dilettati dalla sua aria nobile e distinta, gli facevano l’accoglienza più lusinghiera. Ahmed Comacom non fu degli ultimi a fargli la corte, e seppe così bene insinuarsi nelle sue buone grazie, che divennero in breve inseparabili.
«Un giorno che trovavansi amendue in una taverna, Ahmed Comacom trasse di seno il candelliere d’oro tanto rammaricato dal califfo, se lo mise davanti, e si divertì a considerare, attraverso il liquido, lo splendore dell’oro e dei diamanti. Ripetè più volte quel divertimento, bevve vari bicchieri e s’ubbriacò.
«Aslan, maravigliato alla vista d’un gioiello sì prezioso, pregò Comacom di fargliene dono. — È impossibile,» rispose quegli.
«— Impossibile! Perchè?» domandò Aslan con curiosità. — Non posso dartelo,» rispose Ahmed, «perchè fu già cagione della morte d’un uomo. — E di quale?» ripigliò Aslan stupito. — D’uno straniero venuto in questo paese, e dal califfo innalzato al