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«Gelsomina allattò ella medesima il piccolo Aslan, non divezzandolo se non fino ai due anni e mezzo, quando trascinavasi già da ogni parte sulle sue manine, e cominciava a camminare da sè.
«Un giorno che la schiava era occupata in cucina come al solito, il piccolo Aslan, che arrampicavasi già dappertutto, avendo scoperta la scala che conduceva alla sala, si mise a salire i gradini alla meglio possibile, e saltellando venne fino al luogo ove sedeva l’emiro Kaled.
«Il wali, sorpreso della beltà del fanciullo, ed incantato della sua gentilezza, lo prese in braccio, se lo mise a sedere sulle ginocchia, e considerandone attentamente i lineamenti, stupì della sua somiglianza con Alaeddin.
«Gelsomina, inquieta di non veder vicino il figlio, lo cercò prima nella cucina e nei cortili; ma non trovandolo, le venne il pensiero di salire nella sala, e fu estremamente sorpresa allo scorgere l’emiro che lo teneva sulle ginocchia, giuocando seco. Il bimbo, veduta la madre, volle gettarsele al collo, ma il wali lo trattenne, e domandò alla schiava a chi appartenesse il fanciullino.
«— È mio figlio, signore,» rispose Gelsomina tutta tremante. — Chi è dunque suo padre?» riprese vivamente il wali. — È lo sfortunato Alaeddin Abulschamat,» rispose la donna. «Ora questo fanciullo non ha altro padre, nè protettore fuor di voi.
«— Come!» proruppe il wali; «io dovrò interessarmi pel figlio d’uno scellerato! — Ah! signore,» sclamò Gelsomina, «giudicate meglio il mio padrone e sposo! Alaeddin non fu un iniquo; era uno dei più fedeli e zelanti servitori del califfo, e non ebbe mai il pensiero di tradire la confidenza del suo sovrano. —
«Il wali, commosso della sorte di quel ragaz-