Pagina:Le mille ed una notti, 1852, V-VI.djvu/615


205


NOTTE DIX

— «Emiro Kaied,» gridò il califfo, «perchè mi avete condotto dinanzi questo scellerato? — Sovrano Commendatore dei credenti,» rispose il wali, «la sua povera madre, priva d’ogni soccorso, e che ha l’unica speranza in lui, supplica vostra maestà di spezzare le catene di questo infelice, il quale si pente de’ suoi falli, e rimetterlo al posto che occupava prima della sua disgrazia.

«— Si pente sinceramente della sua condotta passata?» domandò, il califfo.

«— Sovrano monarca del mondo,» rispose Comacom, «Iddio è testimonio della sincerità del mio pentimento, e del desiderio che ho di riparare al male da me commesso. —

«Il califfo, di naturale sensibile, commosso dalla sorte della madre di quello sgraziato, fece venire un fabbro per ispezzarne le catene. Non contento di restituirgli la libertà, gli fece indossare un caftan, e lo ristabilì nella sua carica, raccomandandogli di migliorare per l’avvertire la sua condotta, e di non traviare giammai dal sentiero della rettitudine e dell’equità.

«Comacom, al colmo della gioia, si prosternò davanti al califfo, e pregò Iddio di accordargli un regno lungo e felice. Si proclamò tosto in Bagdad che Ahmed Comacom era stato ristabilito nella carica già prima già occupata.

«Erano trascorsi alcuni giorni dopo la liberazione