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dore. — Ciò che conviene al padrone,» rispose l’emiro.; «non conviene allo schiavo: non mi fu possibile di comperarla, giacchè Alaeddin Abulschamat, capo del consiglio supremo dei Sessanta, desiderava averla. —
«La malattia di Abdalum Bezaza aggravandosi sempre più, sua madre, vedendo che non voleva prendere cosa alcuna, e che stava per morire d’inedia, indossò abiti lugubri, e dimostrò tutti i segni del maggior lutto, e della più profonda tristezza. Mentre si abbandonava così all’eccesso del suo dolore, ricevette la visita d’una donna ch’era madre di certo Ahmed Comacom, detto il ladro.
«Questo Ahmed Comacom dovendo rappresentare una parte importante nel seguito di questo racconto, è necessario di farlo conoscere. Esercitato al furto ed alle scroccherie fin dall’infanzia, era divenuto sì destro, che avrebbe potuto levar dalle sopracciglia il collirio che vi si applica, senza che la persona se ne avvedesse; ardito e dissimulatore, aveva saputo nascondere sì bene le sue malvage inclinazioni, e guadagnarsi la fiducia di alcune persone distinte, ch’era stato nominato comandante della guardia; ma siccome derubava e defraudava il popolo, invece di difenderlo, il wali, saputolo, lo fece arrestare e condurre dinanzi al califfo, il quale lo condannò a morte.
«Ahmed Comacom, conoscendo l’umanità del visir Giafar, e sapendo che la sua intercessione presso il califfo non era mai vana, lo fece supplicare d’interessarsi per lui.
«Quando il visir ne parlò al califfo, quel monarca gli disse: — Potrei io restituire alla società un simil flagello, e lasciar libero corso a tante bricconerie? — Sire,» rispose il visir, «condannatelo ad una prigione perpetua. L’inventore delle carceri fu un uomo saggio: sono tombe ove stanno sepolti tutti quelli che il pubblico bene prescrive di separare dalla società. —