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fortuna; ed ogni sera non nascondevano essi, a nostra insaputa, una borsa di cento pezze d’oro sotto al cuscino? —
«Al tramonto, quando furono accesi i lumi, Alaeddin pregò la sposa di prendere il liuto, e cantargli una delle sue, ariette favorite. Zobeide, compiacente a prevenirne i menomi desiderii, affrettossi a soddisfarlo, accordò il suo strumento, e cominciò il canto. In quel punto si udì bussar con forza alla porta di strada. Zobeide pregò il marito di andar a vedere chi fosse. Quand’ebbe aperto, e veduti i dervis: — Ah! ah!» sclamò ridendo; «entrate, signori impostori, entrate. —
«Sedutisi i dervis, Alaeddin fece allestire la mensa. — Signore,» gli disse uno di quelli, «l’impossibilità in cui ci trovammo di fare ciò che volevamo, non ne toglie di prendere il più vivo interesse a tutto ciò che vi risguarda: narrateci adunque, di grazia, che cosa vi è accaduto con vostro suocero.
«— Dio,» rispose Alaeddin, «ci ha colmati di favori più che non osassimo sperare.
«Ne siamo lieti,» rispose il falso dervis, «giacchè eravamo molto inquieti a vostro riguardo, e dovete esser persuaso che se avessimo potuto raccogliere la somma da noi promessa, l’avremmo portata assai volentieri.
«— Allah m’ha procurato i mezzi di trarmi d’impaccio,» soggiunse il giovane; «mio padre mi mandò cinquantamila pezze d’oro, e cinquanta balle delle stoffe più preziose, ciascuna del valore di mille pezze, come indica il biglietto che vi sta sopra; mi ha altresì mandato un magnifico vestito, una pelliccia di martoro zibellino, una mula, uno schiavo ed un bacile d’oro colla sua coppa; inoltre, mi sono riconciliato con mio suocero, e ciò che mette il colmo alla mia felicità, è il possedere una vezzosa moglie, dalla quale sono teneramente amato. Vedete adunque