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diede nel medesimo tempo una lettera diretta ad Alaeddin, ordinandogli di recarsi coi colli in una via che gl’indicò, e d’informarsi ove fosse la casa del sindaco dei mercanti, il quale era anche il suocero di Alaeddin. — Quando avrai trovata la casa,» aggiunse il califfo, «domanderai al sindaco ove abita il signor Alaeddin, tuo padrone.» Il califfo informò quindi lo schiavo delle altre cose da dire per sostener bene la sua parte, ed adempiere abilmente alla sua commissione

«In quello stesso giorno il cugino di Zobeide era andata a trovar il padre di quella giovane signora, e lo aveva invitato a recarsi con lui da Alaeddin per obbligarlo a ripudiare la cugina. Mentre vi andavano entrambi, videro uno schiavo montato sur una mula, il quale conduceva cinquanta altre mule cariche di colli di preziose stoffe. Avendo chiesto allo schiavo per chi fossero quelle balle; rispose che appartenevano al suo padrone Alaeddin Abulschamat, e quindi aggiunse:

«— Il padre del mio padrone gli aveva affidate molte mercanzie per condurle a Bagdad; ma una banda di ladroni arabi l’hanno assalito nella foresta del Leone, spogliandolo di quanto possedeva. Pervenuta a suo padre la funesta notizia, egli mi manda a lui con queste cinquanta mule, coll’incarico di rimettergli una somma di cinquantamila pezze d’oro, un pacco contenente un abito completo, ricco quanto quello che gli fu rubato dai ladri, una pelliccia di martora zibellino ed un bacino d’oro colla sua brocca. —

«Il padre della giovane dama, sorpreso di quell’incontro e meravigliato della descrizione di tante ricchezze, si affrettò a dire allo schiavo ch’egli era lo suocero di Alaeddin, offrendosi di condurlo alla casa che cercava.