Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
182 |
«— Signore, noi siamo dervis stranieri in questa città, e desidereremmo passare la notte in casa vostra. Allo spuntar del giorno ci porremo di nuovo in viaggio. Vi meriterete le benedizioni del cielo, accordandoci questo favore, e forse non ne siamo indegni, non essendovi alcuno di noi che non sappia a memoria i poemi ed i versi più famosi, e che non sia amatore appassionato della musica e degli strumenti.
«— Io debbo prima consultare qualcheduno sulla domanda che mi fate,» soggiunse Alaeddin, e si recò tosto ad informarne Zobeide. Questa gli disse di lasciarli entrare.
«Avendoli Alaeddin introdotti, li fece sedere e li trattò con molta gentilezza. — Signore,» gli dissero essi, «la nostra situazione non c’impedisce di godere dei piaceri della società, e non bisogna che siamo origine d’interrompere i vostri divertimenti: passando dalla vostra casa, una musica deliziosa si faceva udire, e quando siamo entrati, cessò d’improvviso. Oseremmo noi domandarvi se la persona che la eseguiva fosse, una schiava bianca o nera, o qualche giovane e distinta dama?
«— È la mia sposa,» rispose Alaeddin; e narrò tosto le sue avventure, il modo con cui lo suocero gli aveva fatto soscrivere un’obbligazione di cinquantamila pezze d’oro, e l’imbarazzo in cui si trovava di pagarle, non avendo potuto ottenere che una dilazione di dieci giorni.
«— Non inquietatevi,» disse uno dei dervis; «io sono il capo di quaranta dervis sui quali esercito assoluto potere; li indurrò facilmente a procurarmi le cinquantamila pezze d’oro di cui avete bisogno: ve le rimetterò, e voi potrete così adempire al vostro impegno verso lo suocero. Ma se fosse un effetto della vostra compiacenza il farci udire la voce della giovane dama, ci procurereste un dolce favore: giacchè la