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rebbe infallibilmente, se aveste l’imprudenza di toccarla soltanto. — Posso assicurarvi,» soggiunse vivamente Alaeddin, «ch’io mi terrò a tal distanza da quella vezzosa, che non potrà comunicarmi il suo male. —

«La vecchia, lasciato Alaeddin in una disposizione sì favorevole alle sue intenzioni, recossi dalla giovane, e le tenne il medesimo discorso fatto ad Alaeddin. — Siate tranquilla, mia cara,» le disse Zobeide; «approfitterò del vostro avvertimento. Questo straniero potrà dormir solo, se vuole, e domattina avrà la compiacenza di andarsene com’è venuto.» La giovine, avendo poscia chiamata una delle sue schiave, le ordinò di preparare la tavola, e dar da cena ad Alaeddin.

«Dopo aver mangiato con appetito, questi andò a sedere in un angolo dell’appartamento, e lesse ad alta voce il capitolo del Corano intitolato Yas (1). La giovane dama, avendolo attentamente ascoltato, gli trovò una bellissima voce, e pensò fra sè:

«— La vecchia, secondo ogni probabilità, fu tratta in inganno da chi le ha detto che questo giovane è lebbroso; quegli affetti di tal malattia non hanno di certo una voce sì pura ed armoniosa come la sua; ciò ch’ella mi narrò a tal soggetto, è menzogna e falsità. —

«La donna, sentendo allora minor ribrezzo per Alaeddin, volle indurlo ad avvicinarsele; prese una chitarra indiana, e, spiegando una voce sì melodiosa che gli stessi uccelli si fermavano nell’aere per ascoltarla, cantò questi due versi:

«— Io amo un cerbiatto dal tenero sguardo, dal passo leggiero, che ora mi fugge ed ora m’insegue. Qual felicità di possedere un tal cerbiatto. —

  1. È il trentesimosesto capitolo del Corano. Esso tratta principalmente della risurrezione, e chi lo legge divotamente, merita tanto, come se avesse letto ventidue volte l’intero Corano.