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stro cuore la ricompensa della pietà generosa che per essi avrete manifestata; pensate che amendue sono in vostro potere, ch’ebbero l’onore di mangiare alla vostra mensa, ed essere vostra sorella la quale vi scongiura di risparmiarne il sangue. —

«Il califfo rispose con emozione: — Avete ragione, sorella; ho giudicato io stesso quest’affare, e v’è noto che non cangio mai di parere ogni qual volta abbia pronunciato.» Voltosi poi verso Naam: «È questo il vostro padrone?» le chiese. — Sì, maestà,» rispose rispettosamente la giovane schiava.

«— Non abbiate alcun timore,» soggiunse con bontà il califfo; «io perdono volentieri ad ambidue. Ma, Naama, come scopriste voi che la vostra schiava era qui, e come faceste per introdurvi?

«— Sire,» rispose il giovane, «degnatevi ascoltare il racconto de’ miei infortunii: giuro, pei vostri gloriosi antenati, che non vi celerò nessuna circostanza. —

«Allora Naama narrò al califfo quanto gli era accaduto, le obbligazioni che doveva al medico persiano ed alla vecchia; come quest’ultima l’avesse introdotto nel palazzo, ed in qual modo si fosse smarrito.

«Il califfo, sorpreso di quel racconto, mandò a prendere il medico persiano, lo fece rivestire d’un abito onorifico, e gli diede un posto distinto alla corte. Gli fe’ poi sposare un’amabile schiava, e gli disse cortesemente che volea sempre tener presso di sè un uomo di tanta abilità ed intelligenza, i cui talenti potevano essergli utili; e colmò di benefizi Naam e Naama, come pure la vecchia. Per sette giorni non furonvi che feste e tripudii nel palazzo, scorso il qual tempo, il califfo accordò ai due sposi il permesso di tornare a Kufa; Rabia e sua moglie furono lietissimi rivedendo il figliuolo, e lo strinsero a lungo nelle loro braccia.»