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«— Voi siete senza dubbio, o signore,» gli chiese ella, «il medico persiano giunto ultimamente dall’Arabia in questa città?» Dietro la sua affermativa, dissegli d’avere una figlia affetta d'una malattia pericolosa, e nello stesso tempo gli presentò il fiasco racchiudente l’orina della giovane. Quando l’ebbe considerata con attenzione, domandò alla vecchia qual fosse il nome della fanciulla. — Giacchè,» soggiunse egli, «bisogna ch’io ritragga il suo oroscopo onde conoscere il momento favorevole per farle prendere la bevanda che deve risanarla. — Essa si chiama Naam,» disse la vecchia.

«A tal nome, il medico si mise a riflettere ed a contare sulle dita, e guardando fissamente la vecchia: — Signora,» le disse, «io non posso prescrivere alcun rimedio a vostra figlia senza prima sapere il nome della città ov’è nata... è cosa assolutamente necessaria ond’io possa calcolare la diversità del clima e l’infuenza dell’aria atmosferica; vi prego inoltre di farmi conoscere il luogo ove fu allevata e la presente sua età. — Ha quattordici anni,» rispose la vecchia, «e fu allevata nella città di Kufa. — Da quanto tempo,» soggiunse il medico, «si trova in questo paese? — Da pochi mesi,» replicò la dama.

«Naama, presente a quel colloquio, non ne perdeva sillaba; ed era in estrema ansietà; il medico ed egli si guardavano, facendosi segni d’intelligenza. — Prendete la tale e la tal cosa,» dissegli il medico, «e preparatene una pozione.» La vecchia gettò dieci pezze d’oro sul banco, e guardò più attentamente il giovane occupato a preparare l’ordinazione. — Oh Dio, che bel giovane!» disse poi al medico. «È vostro schiavo o vostro figlio? — Signora, è mio figlio,» le rispose.

«Quando Naama ebbe finito il suo lavoro, scrisse un bigliettino, nel quale avvisare Naam del suo arrivo con queste parole: