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tre teste femminee, irte di serpi, presentava all’eroe l’orrenda sua chioma.

«Ma Habib, pieno di fermo coraggio, e fedele ai consigli del genio, imponeva con una parola a que’ minacciosi fantasmi, gettando senza cupidigia gli occhi sui mucchi d’oro e di diamanti, su quegl’idoli spezzati; passa rapidamente da una porta all’altra, ove gli oggetti che incontrava non gli presentano verun segno simbolico delle vittorie del profeta: pure si ferma in un solo sito.

«Era un salone immenso, intorno al quale stava seduta un’infinità d’esseri in sembianza umana; parea ascoltassero la lettura del più venerabile fra loro, collocato sur un seggio elevato e davanti ad un leggio. Allorchè Habib entrò, l’assemblea levossi e fece un inchino all’eroe; il rispetto sospese la lettura, ed il principe, volgendosi a chi la faceva, gli disse: — Se m’è lecito saperlo, ditemi chi siete e cosa leggete. — Io sono un genio schiavo di Salomone,» rispose il lettore, «da lui incaricato d’addottrinare i fratelli che qui vedete, i quali saranno liberi allorchè avranno acquistate le cognizioni necessarie alla loro istruzione. Il libro che leggo è il Corano; ma aimè! sono più secoli ch’io lo spiego loro, ed un ottavo di quelli che mi ascoltano non ne comprende nemmeno la prima riga. Passate, giovane musulmano; nulla avete da imparare da essi nè da me; procedete direttamente ai vostri destini, e siate sempre circospetto come lo foste...» Uscì Habib da quella scuola, pensando quanto sia difficile capire la verità allorchè non si è disposti ad intenderla. E benedisse Iddio ed il suo profeta di averlo di buon’ora istruito in quelle del Corano.

«Il giovane ha già aperte e rinchiuse trentanove porte. Sono cinque giorni che percorre quelle dimore sotterranee, luoghi dove il sole non segna le ore, e ne’ quali il tempo trascorre senza potersi calcolare.