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«Il califfo pigliò allora il libro, e disse a Mesrur di rimetterlo nell’armadio. — Ritirati ora in tua casa,» disse indi a Giafar, «e riprendi le funzioni della tua carica; la mia collera era finta; voleva provare la verità delle predizioni racchiuse in quel libro: ti rendo tutta la mia amicizia, e la tua obbedienza in questa circostanza non ha fatto che aumentare la mia affezione per te. —

«Frattanto Attaf, avendo passata la notte in prigione, fu condotto all’indomani davanti al cadì, il quale gli domandò se foss’egli che avesse ucciso l’uomo presso cui era stato trovato intriso di sangue, — Fui io ad ammazzarlo,» rispose Attaf. — Lo uccideste voi deliberatamente? — Sì. — Godete voi di tutto il vostro intelletto? — Sì. — Come vi chiamate? — Attaf. —

«Il cadi mandò tosto il rapporto di quell’affare al muftì, che pronunciò la sentenza; il cancelliere stese il processo verbale e mandò gli atti al primo visir. L’ordine di eseguire la sentenza venne subito emanata, ed Attaf fu condotto alla forca.

«Il gran visir, accompagnato da numeroso seguito, passò per caso in quel momento vicino al luogo dove dovevasi eseguire la sentenza. L’ufficiale che vi presiedeva, avendo veduto Giafar, gli corse incontro per fargli i suoi omaggi.

«— Cos’è quest’esecuzione che attira tanta gente?» domandò Giafar. — Noi siamo per appiccare,» rispose l’ufficiale, «un abitante di Damasco che ha assassinato un uomo. — Chi è questo abitante di Damasco?» riprese Giafar. — » È un certo Attaf,» disse l’ufficiale.

«A tal nome, Giafar mandò un gran grido, e comandò che gli si conducesse il delinquente. L’ufficiale corse, slegò la corda già attaccata al collo d’Attaf, e lo condusse dal visir, che lo riconobbe, ad onta