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NOTTE CDLXVI

— Frattanto Attaf, dopo un viaggio lungo e penoso attraverso deserti e strade remote, era lontano da Bagdad appena qualche giornata, allorchè fu assalito dai masnadieri che lo spogliarono di tutto. Egli continuò così il suo cammino, e giunse alla città in quel miserabile stato. Chiese dove fosse il palazzo del gran visir, e vi si recò; ma quando volle entrare, fu respinto. Mentre stava sulla porta, vide passare un vecchio d’aspetto rispettabile, e gli domandò se avesse un calamaio ed un calam (1).

— Sì,» gli rispose il vecchio, «e scriverò per voi, se lo desiderate. — Vi ringrazio,» rispose Attaf; «scriverò io medesimo.» Prese il calamaio, e scrisse a Giafar quanto eragli accaduto. Indi ringraziò il vecchio, restituendogli i suoi effetti, e s’avanzò verso le guardie che stavano sulla porta, pregandone una di consegnare la sua lettera al primo visir. La guardia la prese, e promise di tosto portarla.

«Nello stesso momento, s’udi un gran fragore di tamburi. Tutti domandavano che cosa fosse; si seppe ch’era nato un fanciullo al califfo, e che si farebbero pubblici tripudi per lo spazio di sette giorni. Tosto, tutto fu in moto nel palazzo: si andava, si veniva, ciascuno affrettavasi da ogni parte.

  1. Specie di canna onde servonsi gli Orientali per iscrivere.