Pagina:Le mille ed una notti, 1852, V-VI.djvu/375


359

«— Chi v’impedisce, signore,» rispose Attaf, «di far ciò che più vi piace? Qualunque sia il diletto che ho di accompagnarvi, vi rinuncio volentieri, se la solitudine vi gradisce maggiormente, e può procurarvi distrazione. —

«Giafar si alzò tosto onde approfittare della libertà che gli lasciava l’ospite. — Prendete questa borsa,» dissegli Attaf, «forse ne avrete bisogno.» Giafar accettò senza complimenti, ed escì con tanto piacere come se uscisse di prigione.

«Dopo aver traversate molte vie e varie piazze, Giafar si trovò alla moschea degli Ommiadi, rimpetto alla porta chiamata Giroun, alla quale si sale per trenta marmorei gradini. Entrando in questo tempio, che è un monumento della pietà e magnificenza di Yalid, figlio d’Abdalmalek, il sesto califfo della famiglia degli Ommiadi, Giafar fu colpito dalla varietà dei marmi, dallo splendore dell’oro e delle pietre che brillavano da ogni parte. Quand’ebbe considerate a suo bell’agio tutte quelle bellezze, e che la sua curiosità fu soddisfatta, uscì da una parte opposta a quella ond’era entrato, e continuò a passeggiare per la città.

«Nel passare per una via remota, Giafar vide un comodo sedile, e volle riposare. In faccia a quel sedile erano alcune finestre sulle quali stavano varie casse piene di garofani, di basilico e d’altri fiori d’ogni qualità. Appena Giafar si fu adagiato sul sedile, udì aprire una delle finestre, e vide comparire una giovane di rara bellezza, fatta per soggiogare i cuori di tutti quelli che la miravano.»