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«— Chi v’impedisce, signore,» rispose Attaf, «di far ciò che più vi piace? Qualunque sia il diletto che ho di accompagnarvi, vi rinuncio volentieri, se la solitudine vi gradisce maggiormente, e può procurarvi distrazione. —
«Giafar si alzò tosto onde approfittare della libertà che gli lasciava l’ospite. — Prendete questa borsa,» dissegli Attaf, «forse ne avrete bisogno.» Giafar accettò senza complimenti, ed escì con tanto piacere come se uscisse di prigione.
«Dopo aver traversate molte vie e varie piazze, Giafar si trovò alla moschea degli Ommiadi, rimpetto alla porta chiamata Giroun, alla quale si sale per trenta marmorei gradini. Entrando in questo tempio, che è un monumento della pietà e magnificenza di Yalid, figlio d’Abdalmalek, il sesto califfo della famiglia degli Ommiadi, Giafar fu colpito dalla varietà dei marmi, dallo splendore dell’oro e delle pietre che brillavano da ogni parte. Quand’ebbe considerate a suo bell’agio tutte quelle bellezze, e che la sua curiosità fu soddisfatta, uscì da una parte opposta a quella ond’era entrato, e continuò a passeggiare per la città.
«Nel passare per una via remota, Giafar vide un comodo sedile, e volle riposare. In faccia a quel sedile erano alcune finestre sulle quali stavano varie casse piene di garofani, di basilico e d’altri fiori d’ogni qualità. Appena Giafar si fu adagiato sul sedile, udì aprire una delle finestre, e vide comparire una giovane di rara bellezza, fatta per soggiogare i cuori di tutti quelli che la miravano.»