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dire quanto volevano i visiri: si fe’ loro ripetere più volte il breve discorso che dovevano tenere, e si raccomandò loro di approfittare del primo momento in cui sarebbero soli col re. Il dopopranzo, Ilan-Schab, essendosi ritirato nella sua camera e sdraiato su di un sofà per riposare, i fanciulli, accostatiglisi, intavolarono il discorso. Il principio stuzzicò la di lui curiosità, talchè non volle interromperli, e finse di dormire.
«Terminato il dialogo, il re riflettè su quanto aveva inteso: la giovinezza dei fanciulli, la loro innocenza non permettevano di sospettarne la buona fede; non potevano essere intesi con alcuno, e non ripetevano se non quanto per caso avevano udito; queste riflessioni lo persuasero che il favorito fosse colpevole, e lo infiammarono di sdegno. Si alzò dal sofà, fingendo di svegliarsi, e mandò tosto a cercare di Abutemam.
«— In qual modo,» gli disse, appena lo ebbe veduto, «bisogna trattare chi non rispetta la moglie altrui? — Merita,» rispose Abutemam, «che non si rispetti la sua. — Ma,» riprese Ilan, «qual dev’essere la punizione di chi entra nel palazzo del re, ed attenta al suo onore nella persona della sua sposa? — La morte!» rispose l’altro. — Traditore,» gridò il re, «tu hai proferita la tua sentenza!» Sguainato allora il pugnale, glielo immerse nel cuore, stendendolo morto ai suoi piedi. Si portò via il cadavere, e fu gettato in un pozzo destinato a tal uso.
«L’amore del re per la sua sposa lo trattenne dal parlarle dell’intelligenza che credeva avere scoperto fra lei ed Abutemam; ma ne concepì un violento dolore: ella non tardò ad accorgersi della sua tristezza, e chiestagliene la cagione, il re non volle mai palesarla. Era egli parimente afflitto per aver perduto il suo primo visir, e non poteva far a meno di rammaricare un uomo che avevagli resi tanti servigi, e