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dell’inviato, si fece portare un abito d’onore, e volle che ne fosse rivestito. Poscia lo condusse fuori dalla sala, gli mostrò un pozzo, e gli disse di guardarvi entro. Abutemam si avanzò, e vide, raccapricciando, che il pozzo era pieno di teschi umani.

«— Sono,» gli disse il re, «le teste di coloro che mi furono mandati prima di voi a cercar mia figlia: sono in numero di novantanove; la vostra avrebbe fatta la centesima, se vi foste condotto con minor delicatezza. Gli altri messi mancarono al rispetto che dovevano non solo a me ed a mia figlia, ma al loro signore; dal loro carattere io giudicai quello dei loro sovrani; un ambasciatore è la lingua di chi lo manda, e la sua urbanità annuncia quella del suo padrone. Avendo adunque concepito un cattivo concetto di tutti quei re, non volli prenderne alcuno per genero, ed ho punita come si doveva la temerità e l’imprudenza dei loro indegni emissari. Riguardo a voi, sapeste conciliarvi la mia stima, e meritaste di ottenere mia figlia. La concedo adunque al re, vostro signore, in considerazione della vostra saggezza e prudenza. — «Il re fece rimettere ad Abutemam molti regali per Ilan-Schah; incaricollo d’una lettera colla quale accordava al principe la mano della figliuola, e lo felicitava della scelta fatta dal suo ambasciatore.

«Ilan-Schah fu al colmo della gioia vedendo arrivare la principessa del Turchestan; la sua bellezza superava l’idea ch’erasene formata, e le doti dello spirito, la grazia, la dolcezza che univa alle sue attrattive, ne facevano una persona compita. Ilan-Schah sentì tutto il pregio di quel raro tesoro; persuaso di dovere la propria felicità ad Abutemam, gli attestò la sua soddisfazione nei termini più lusinghieri. Gli elogi contenuti nella lettera dello suocero, aumentarono ancora la stima e l’affezione che aveva per lui.