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«Chi sa reprimere gli sguardi, custodire la lingua, e trattenere le mani, è al sicuro d’ogni pericolo.» E risolse di condursi in una maniera che non solo non l’esponesse ad alcun rimprovero, ma potesse anzi lusingare l’orgoglio del sovrano.

«La principessa, avvertita della visita dell’ambasciatore, l’attendeva vestita magnificamente, seduta su di un trono sfolgoreggiante, e adorna di gioie, di perle ed altre pietre preziose.

«Abutemam, essendo stato introdotto, si prosternò lungi dal trono, e si alzò poscia tenendo le braccia conserte al seno, e chini gli occhi. La principessa gli disse di alzare la testa e parlarle, ma ei nol fece. Gli ripetè una seconda volta la medesima cosa, aggiungendo che l’avevano mandato da lei appunto per guardarla e parlarle liberamente; ei non rispose neppur questa volta. — Prendete,» soggiunse la fanciulla, «questi vasi d’oro e d’argento, e queste rarità a voi vicine: esse vi sono destinate, e ve ne faccio un dono.» Abutemam non fece il menomo moto. La principessa allora, piena di dispetto, sclamò che le avevano mandato un ambasciatore cieco, sordo e muto; diè ordine che lo si facesse ritirare, e corse a manifestare il suo malcontento al padre.

«Il re del Turchestan fece tosto venire Abutemam, e gli disse: — Voi avete veduto mia figlia; come la trovate? — Principe,» rispose l’altro, «io non ho osato alzar gli occhi sulla figlia di un sì grande monarca. — Voi le avrete senza dubbio chiesta la sua mano pel re vostro signore? — Principe,» rispose il saggio, «io mi sarei guardato dal far questa domanda a vostra figlia: non mi sono fatto lecito di dirle una sola parola. — Avrete almeno,» aggiunse il re, «preso i vasi d’oro e d’argento che io vi destinava. — Non ho ricevuto nulla,» rispose Abutemam.

«Il re, contento della riservatezza e circospezione