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tamento i due giovani. Domandò quindi al capobanda ove fossero le loro ricchezze. Questi gli indicò i sotterranei in cui stavano nascoste. Quand’ebbe fatta tale dichiarazione, il re comandò che gli si troncasse la testa, come pure a tutta la masnada.
«I sudditi di Abusaber mormorarono sempre più contro di lui. — Questo re,» dicevano, «è ancora più ingiusto di suo fratello: quei ladri hanno palesate immense ricchezze, ed offrivano di rinunciare alla loro vita d’assassini; egli perdona a due di essi, e fa morire gli altri! —
«Scorso qualche tempo, un cavaliere venne a lagnarsi ad Abusaber che sua moglie respingeva le di lui carezze, e contraccambiava il suo amore coll’avversione. — Conducetemi vostra moglie,» disse il re; «è giusto ch’io ascolti le sue ragioni.» Il cavaliere uscì, e tornò poco dopo colla sposa. Abusaber, appena la vide, ordinò che venisse condotta nel suo appartamento, e si tagliasse la testa al cavaliere.
«A quel nuovo decreto, i grandi ed il popolo non poterono contenere il loro malcontento, e le mormorazioni scoppiarono d’ogni parte. Abusaber allora, adunato il consiglio, prese la parola, e disse:
«— Grandi dello stato, visiri, e voi tutti qui presenti, è tempo di scoprirvi la verità, e far cessare una volta il vostro errore sulla mia persona e la sorpresa che vi cagionano i giudizi da me pronunciati: io non sono il fratello del vostro ultimo sovrano. Straniero in questi luoghi, veniva a cercarvi un asilo; fui preso e condannato a lavorare per forza nella costruzione di questo palazzo. Uno de’ miei compagni di lavoro essendosi spezzata una gamba cadendo, io l’esortai alla pazienza, dicendo: — La perfezione della pazienza è tale, ch’essa potrebbe innalzare al trono un uomo precipitato nel fondo di un pozzo. —