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ve lo fece calare, e gli disse: — Insensato, vedrai ora se potrai uscire da questo pozzo per salire sul trono.» Tornò all’indomani a dire la stessa cosa all’infelice Abusaber, e tutti i giorni gli faceva dare un pane, ripetendogli le stesse parole, alle quali il misero nulla rispondeva.

«Il re aveva avuto un fratello contro il quale avendo concepito una gran gelosia, erasi determinato a rinchiuderlo in quel sotterraneo. Questi non aveva potuto sopportare a lungo la noia ed il rigore di tale prigionia. I grandi del regno, ignorandoue la morte, mormoravano d’una sì lunga cattività, ed accusavano il re d’ingiustizia; altre ragioni unendosi a questo, il malcontento divenne generale: il re fu riguardato come un tiranno, ed un giorno, scoppiata una sollevazione, venne ucciso.

«Si andò subito al sotterraneo, e fecero uscire Abusaber, credendolo fratello del re. La somiglianza che per caso il prigioniero aveva con lui, il tempo trascorso dacchè era stato in carcere, contribuì a non farli accorti dell’errore. Uno dei principali signori del regno venne a dire ad Abusaber: — Noi ci siamo disfatti di vostro fratello, la cui tirannide n’era divenuta insopportabile, e voi regnerete in sua vece. —

«Abusaber non rispose, e riconobbe che il suo innalzamento era la ricompensa della propria pazienza. Fu vestito cogli abiti regali e fatto salire sul trono. Abusaber regnò con giustizia ed equità, e mostrandosi generoso e benefico, si cattivò l’amore dei sudditi, e fecesi obbedire tanto per amore che per dovere. Non trascurava gli affari esterni; aveva cura di ben difendere i confini, e manteneva numerose soldatesche.

«Il re che aveva tolto gli averi ad Abusaber, scacciandolo dal villaggio che abitava, toccò in breve la medesima sorte: uno de’ suoi vicini, col quale era in guerra, entrò nel suo paese alla testa di un grosso