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di ucciderla se non lo seguiva. L’infelice, non potendo oppor resistenza, scrisse col dito sulla sabbia:

«— O Abusaber! tu hai perduto, colla tua pazienza, gli averi, i figli, tua moglie infine che ti era cara più d’ogni altra cosa; eccoti solo: or vedremo a che ti servirà la pazienza. —

«Il cavaliere non le lasciò tempo di scrivere di più: la prese in groppa, e fuggì.

«Abusaber, essendo di ritorno, e non vedendo la consorte, lesse le parole scritte sulla sabbia, si mise a piangere, e sedette, pieno di disperazione. — Abusaber,» disse fra sè, «è in questo momento che fa d’uopo armarsi di tutta la pazienza; ma forse tu sei riservato a qualche prova ancor più dura.» Alzandosi poscia, camminò come dissennato, e senza sapere dove andasse; e giunse in un luogo ove lavorava molta gente a fabbricare un palazzo pel re.

«Appena si vide Abusaber, lo presero, obbligandolo a lavorare cogli altri all’edificio, sotto minaccia, ove rifiutasse, di metterlo in prigione per tutto il resto de’ suoi giorni. Abusaber si riunì agli altri operai, e riceveva ogni giorno, per paga, un piccolo pane d’orzo. Lavorava così da più d’un mese, quando un suo compagno cadde dall’alto di una scala e si ruppe una gamba. Siccome gridava e lamentavasi, Abusaber gli si avvicinò e disse: — Abbi pazienza, e non piangere: la pazienza addolcirà i tuoi mali. — E fin quando dovrò sopportare con pazienza?» rispose bruscamente l’operaio. — Abbi sempre pazienza,» riprese Abusaber; «giacchè la pazienza può estrarre un uomo dal fondo d’un pozzo, e farlo salire sul trono. —

«Il re di cui si fabbricava il palazzo era in quel momento alla finestra; udite le parole di Abusaber, ne fu sdegnato, ed ordinò che lo si arrestasse. Eravi, nel palazzo un pozzo, in un gran sotterraneo; il re