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de vi s’assomiglia perfettamente. — Ma,» soggiunse mio padre, «dimmi chiaro e tondo chi t’ha battuto in modo sì indegno? — Io,» gli risposi, «vi ho raccontato la mia storia, fingendo di narrarvi quella di un altro. Mi vergognava di dirvi sulle prime esser mia moglie che m’avea battuto in tal guisa. Mi capite ora? — Comincio a comprendere; ma fammi adesso conoscere chi è la donna. — Non ne so nulla. — In qual quartiere è la sua casa? — Non lo so. —

«Mio padre stupì assai della mia avventura, e vedendo che non poteva cavare altri schiarimenti, mi propose di recarmi con lui ai bagni. Noi vi andammo, poi mi recai al mercato, aprii la bottega e ripresi il commercio, per cercar di distrarmi. Ma quel genere di vita, quelle occupazioni non mi dilettavano più come una volta.

«L’afflizione, la noia alterarono insensibilmente il mio umore; tutto quello che faceva la gente di casa mi dispiaceva; io strapazzava uno, batteva l’altro, sgridava questa, maltrattava quella. Una schiava mi servì un giorno del riso; ne volli assaggiar subito, e mi scottai. Furibondo, presi il piatto per gettarglielo nel capo. Mia madre volle rattenermi il braccio, io la respinsi duramente. Mio padre, sdegnato, si alzò; lo minacciai di batterlo anch’esso. Egli allora non dubitò più che non fossi pazzo; mi fece legare dai servi o condurre davanti al giudice. Attestarono che io era impazzito, e fui condotto qui. Mi misero dapprincipio una catena al collo: all’indomani, mio padre me la fece levare, e mi mandò il letto, la coperta, ed il Corano.

«Ecco tutta la mia storia. Si dice che il nostro sovrano è giusto; perchè il suo visir Giafar il Barmecida non lo consiglia ad uscire dal suo palazzo, e percorrere la città, all’uopo di conoscere da sè le ingiustizie che vi si commettono, vendicare gli oppressi,